Como e il suo lago sono da secoli tra le mete più apprezzate del turismo culturale: Stendhal, Flaubert, Liszt, Bellini, Rossini, Foscolo e molti altri scrittori e artisti hanno amato questi luoghi per il paesaggio incantevole e la bellezza delle celebri residenze e dei parchi che decorano le rive del lago. Possedere una villa sul Lario era usanza già in voga ai tempi di Plinio il Giovane che all’inizio del II secolo d. C. di ville nei luoghi più ameni del lago ne aveva ben due. L’élite aristocratica lombarda, indotta dal clima generalmente mite, aveva mantenuto questa consuetudine costruendo residenze sul modello di quella dell’umanista Paolo Giovio sin dal 500. In seguito allo sviluppo economico, questa tendenza ebbe un rinnovato fervore nel 700 e nella prima metà dell’800, quando sul lago si assistette a un proliferare di sontuose e raffinate dimore per la villeggiatura, vere e proprie architetture del loisir con parchi incantevoli. È in questo clima di grande fastosità che nascono tra il 1808 e il 1813 Villa Melzi d’Eril e i suoi giardini a Bellagio, un luogo incastonato al centro del Lago dove i due rami del Lario si incontrano e coronato dallo sfondo delle Alpi.
Voluta da Francesco Melzi d’Eril, vicepresidente della prima Repubblica Italiana tra il 1802 e il 1804, cancelliere e guardasigilli del Regno d’Italia dal 1805 al 1814, la villa è un’eccellenza nel panorama lacustre poiché costruita ex novo sulla base di un progetto omogeneo e armonico che ha coinvolto l’edificio, i suoi interni, le architetture, il giardino, il lago e il paesaggio circostante. Il committente ha costruito un’operazione culturale in toto, coinvolgendo personaggi tra i più rappresentativi della sua epoca: Giocondo Albertolli, architetto e ornatista cui fu demandato l’incarico di costruire la villa e i suoi interni per assicurare una coerenza di linguaggio architettonico e ornamentale, Luigi Canonica e Luigi Villoresi, cui spettò il compito di progettare e realizzare il parco di dieci ettari. Melzi d’Eril desiderava un luogo per trascorrere una vita rilassata, assaporare la bellezza del paesaggio lacustre e goderne i benefici del clima esprimendo il suo gusto per l’architettura, le arti e la sensibilità verso la natura, individuandolo in Bellagio, facilmente raggiungibile da Milano tramite la strada sulla sponda lecchese oppure in barca da Como e da Lecco. Acquistò dai singoli proprietari tutti i terreni di un’insenatura dominata da un promontorio e con un affaccio sul lago che si estende dal porticciolo di Loppia fino a quasi l’ingresso in paese per circa settecento metri.
A seguito dell’acquisizione, nel 1808 diede inizio ai lavori di costruzione della villa che committente e architetto scelsero di collocare su un’area pianeggiante nella parte più ampia della proprietà, direttamente di fronte all’acqua. La veduta del lago poteva essere goduta da ogni locale interno, così come la villa spiccava immediatamente sulla sponda senza ostacoli. L’ingresso monumentale dal lago, allora ancora la principale via di comuncazione, prevede solo una balaustra delimitata da quattro colonne, e una coppia di gradinate per l’approdo delle imbarcazioni. Una soluzione semplice ma di grande effetto, in sintonia con lo stile sobrio ed elegante della residenza.
Il lago, infatti, è uno dei grandi protagonisti del complesso: è un elemento che è sempre tenuto in considerazione, anche nel disegno del parco di cui è parte integrante. Frutto delle teorie sul Landscape Garden sviluppate in Inghilterra nel 700 principalmente da Alexander Pope, William Kent, Lancelot Brown e Humphry Repton, rese note in Italia da Ercole Silva con il suo trattato Dell’arte de’ giardini inglesi del 1800, quello di Villa Melzi d’Eril è il primo esempio di parco paesaggistico all’inglese e romantico realizzato sul Lario nonché uno dei primi in Lombardia, dopo quello dello stesso Silva per la sua villa a Cinisello Balsamo e quello della Reggia di Monza, su progetto degli stessi Canonica e Villoresi. Senza più costringere la natura entro gli schemi rigidi del passato, le nuove tendenze erano promotrici di giardini informali che rispecchiassero le nuove idee di libertà, irregolari come la natura stessa e culturalmente più interessanti, alla stregua di un terreno su cui riprodurre paesaggi romantici da ammirare. L’irregolarità in grado di generare sorpresa era diventata un ideale estetico.
In accordo con queste teorie, Canonica progettò un parco attraversato da lunghi viali con andamento sinuoso tra piccoli raggruppamenti di alberi, quasi dei boschetti, alternati a radure lasciate a prato, studiando ogni curva per ottenere nuovi scenari naturali che inquadrano ora il lago, ora macchie di arbusti, ora un singolo albero apprezzato per la sua funzione estetica, il suo portamento, la sua struttura architettonica. Movimentò il terreno tramite riporti di terra, in parte per addolcire i declivi, in parte per creare nuovi scorci prospettici aprendo nuove viste sul lago e incuriosire, così, il visitatore, in parte per creare sentieri secondari che seguono i dislivelli erbosi e raccordano i viali principali, offrendo luoghi intimi di sosta in cui riposare o meditare e contemplare.
Canonica intrecciò poi tutti i viali in base al cambiamento di visuale di chi li percorre, organizzando quindi il giardino anche in una serie di punti prospettici con una visione cinetica del paesaggio. In particolare, lungo l’unico viale rettilineo della proprietà, costruito su un contrafforte rialzato dal piano del lago e privo di parapetti, e che dall’ingresso di Bellagio dopo il chiosco moresco conduce alla villa e poi alla cappella gentilizia, mise a dimora un filare di platani piantati a intervalli regolari e potati a testa di salice. Questi ultimi ritmano il percorso e, grazie alla distanza di piantagione e alla chioma tenuta in forma obbligata, non impediscono mai la vista del lago e offrono al visitatore in movimento nei due sensi nuovi cannocchiali che inquadrano le ville della riva opposta, le sue montagne, la punta di Balbianello, il ramo di Como o l’alto lago con le vette della Valtellina. Appare quindi evidente come Canonica abbia studiato ogni particolare per ottenere l’armonia dell’insieme.
Villoresi e Canonica presero in considerazione, nella scelta delle piante, i volumi, la densità, il colore, l’intensità delle ombre e la tessitura delle foglie, in una visione di lungo periodo; disposero gruppi di alberi o di arbusti quando un piano era troppo spoglio oppure attenuarono la luce usando fogliami con diverse cromie di verde, alternarono specie sempreverdi con le quali crearono la struttura di base a quelle a foglia caduca e studiarono i contrasti di forme e colori. Ancora, disposero le piante in funzione dell’effetto cromatico o compositivo che volevano ottenere, oppure in base alla possibilità della luce di attraversare le loro chiome.
Accanto a quelli autoctoni o esotici ormai acclimatati, introdussero nel giardino alberi e arbusti che in quegli anni si diffondevano in Europa per effetto delle esplorazioni botaniche. Fu così che nell’impianto originale del giardino accanto a Fagus sylvatica, Tilia cordata, Platanus orientalis, Quercus robur, Q. petraea, Q. ilex, Cupressus sempervirens, Arbutus unedo, Cinnamomum camphora, Aesculus hippocastanum, Osmanthus fragrans e Camellia japonica per citare le specie principali, fecero la loro comparsa Cedrus libani, Robinia pseudoacacia, Liriodendron tulipifera, Magnolia grandiflora, Ginkgo biloba, Taxodium distichum, Lagerstroemia indica e Syringa vulgaris, proprio per ottenere i contrasti di pieni e vuoti, le alternanze cromatiche, gli effetti pittorici e anche una minima scalarità delle fioriture, sebbene in giardini di questo tipo e a quell’epoca il fiore non fosse considerato un elemento centrale, se non nelle parti più vicine alla villa.
Dopo la morte di Francesco Melzi d’Eril nel 1816, gli eredi continuarono l’opera di arricchimento del parco con nuove piante importate in Italia negli anni successivi e che si sono inserite alla perfezione nel disegno di Luigi Canonica senza stravolgerlo. Jubaea chilensis, Thuja plicata, Sequoia sempervirens, Pinus devoniana, P. montezumae, Picea orientalis, Cedrus atlantica, Cornus controversa, Zelkova carpinifolia, Tilia dasystyla, Phyllostachys edulis e P. nigra e altre specie, spesso rare, hanno fatto nel tempo la loro comparsa nel giardino in cui si coltiva anche una collezione di querce, di cui si segnala una cultivar rara presente negli anni passati ma andata persa e che è stata cercata e ritrovata dall’attuale proprietario, Fulco Gallarati Scotti: Quercus robur ‘Concordia’, dalla foglia giallo brillante, riprodotta da una pianta che era ‘figlia’ di quella scomparsa. Sulla scia del giardino romantico, una ricca collezione di azalee e rododendri è stata aggiunta nel corso dell’800 e 900 in grandi macchie lungo i pendii a impreziosire le zone lasciate a prato; nelle parti più vicine alla villa vecchie cultivar di Camellia japonica si sono aggiunte a quelle dell’impianto originale e sono allevate a spalliera mentre in altri luoghi del giardino crescono in forma libera lungo alcuni viali a formare una collezione che conta oltre 300 piante. Un piccolo giardino orientale, aggiunto nel tardo 800, si svela alla vista del visitatore da un sentiero laterale, protetto dagli sguardi indiscreti da un imponente Taxodium distichum. Con il suo laghetto sormontato da un grazioso ponticello e una collezione di varietà di Acer palmatum dalle foglie che si colorano diversamente dalla primavera all’autunno e un boschetto di camelie questa zona, interessante sempre ma particolarmente a fine stagione quando anche gli aghi del Taxodium si tingono vistosamente di arancio, è l’unica del giardino in cui la veduta del lago è schermata alla vista, quasi un angolo di Giappone sulle rive del Lario.
In riva al lago, sorvegliato da due cipressi, si trova un piccolo edificio ottagonale bianco con una cupola blu: è un chiosco moresco che fu aggiunto all’inizio del 900, frutto della moda orientaleggiante del periodo. Davanti alla costruzione è posto il monumento più celebre del parco, il gruppo scultoreo che raffigura Dante e Beatrice, dello scultore Giovanni Battista Comolli, molto apprezzato da Francesco Melzi D’Eril che gli affidò anche altre sculture presenti in giardino, in aggiunta a quelle egizie, etrusco-romane e rinascimentali.
I professionisti che si sono succeduti in questo parco hanno avuto la sensibilità necessaria per interpretare la potenzialità del luogo e rispettare il disegno originale creando uno scenario incantevole, un paesaggio poetico e suggestivo in cui chiunque vi entri si senta rapito da un fascino che il tempo non ha compromesso.
I proprietari di Villa Melzi d’Eril, discendenti di un’unica famiglia, hanno mantenuto e valorizzato il parco per tramandarlo alle generazioni future. “La bellezza che si può ammirare in questo parco è il risultato dell’impegno profuso per mantenerla e fare in modo che i visitatori potessero apprezzarla”, racconta Fulco Gallarati Scotti, “Il parco fu aperto al pubblico da mio padre per un’operazione culturale pura, perché quando la bellezza è disponibile tutti ne devono poter usufruire. Io ho seguito la via che lui ha tracciato, in un contesto che non prevede concessioni a operazioni commerciali di sfruttamento dell’immagine o di comunicazione. Semplicemente si tratta dell’esposizione di una proprietà privata al pubblico senza stravolgimenti di nessun ordine. È un’operazione culturale anche legata alla conservazione e quindi alla possibilità che gli ingressi possano contribuire al mantenimento della proprietà; il focus, tuttavia, rimane la fruibilità della bellezza del parco da parte di tutti. È un incarico di grande responsabilità”, prosegue Fulco Gallarati Scotti, “che prevede lungimiranza nella gestione, anche della parte botanica. Dopo circa 200 anni dalla messa a dimora, alcuni alberi sono giunti a maturità e si devono programmare nuove piantagioni, anche della stessa specie, per le opportune sostituzioni. Io mi sento custode di un bene di famiglia che lascerò ai miei figli.”
Grazie a un equilibrio armonico tra architettura e natura, alla coerenza che governa l’intera composizione e alla simbiosi tra parco, lago e territorio il complesso di Villa Melzi d’Eril è un inno alla bellezza, ed è stato dichiarato monumento nazionale nel 1912.
I giardini di Villa Melzi d’Eril fanno parte del Network Grandi Giardini Italiani.
Foto di Dario Fusaro
COURTESY Grandi Giardini italiani
©Villegiardini. Riproduzione riservata
Potrebbero interessare anche: