Artista, designer, architetto, attivista … Ai Weiwei è tutto questo, ma anche molto di più. Lo abbiamo incontrato alla Galleria ZooZone, vicino all’Opera di Roma, dove stava lavorando alla regia della Turandot e in questa occasione si è raccontato senza filtri. Il risultato è un’intervista in cui affronta temi cruciali per la sua arte, anche se meno noti: dall’amore, all’ambivalente rapporto con il padre, dal rapporto con il pubblico a quello con il passare del tempo.
SMF. Nel suo lavoro la storia ha un ruolo centrale. Il rispetto per ciò che è stato l’ha spesso portata a criticare l’irrispettosa economia contemporanea. Cosa rappresenta per lei il passato?
AWW. Oggi ciò che possiamo vedere, sentire e comprendere è solo la superficie del nostro passato, come un piccolo cuneo che galleggia e riaffiora appena sull’acqua. Nella nostra cultura contemporanea, il senso dell’esistere oggi è esagerato; il nostro passato è cancellato, persino disprezzato, o ignorato a volte per mera ignoranza. Abbiamo bisogno di rispettare i nostri sentimenti che cambiano durante tutto il viaggio della nostra esistenza: infanzia, crescita, mezza età e in poi. Questi sentimenti sono fondati sul nostro passato. Senza il passato, non ci sarebbe futuro. In fondo il nostro presente e il futuro di oggi alla fine diventeranno il nostro passato.
SMF. I suoi genitori erano intellettuali che pagarono anche con la reclusione (per anni) la loro libertà intellettuale. Quanto la sua famiglia (e di nuovo il passato) hanno influenzato nella tua vita artistica? Quanto è importante la famiglia per te e che valore ha nell’arte?
AWW. Non sono mai stato del tutto consapevole di ciò che mio padre e la mia famiglia mi hanno lasciato come patrimonio culturale. Mio padre era uno scrittore, e per tale ruolo ha trascorso tutta la sua vita come una roccia a combattere contro il muro di un regime autoritario. Una roccia può essere piccola e insignificante, ma il suo ruolo è in ogni caso indelebile: questo è il valore più importante della letteratura e degli scrittori. La loro stessa sostanza è diversa dagli altri, e per questo sono apprezzati o odiati. Mio padre subì molte discriminazioni e pregiudizi a causa dell’ambiente politico della sua epoca. Ciò ha avuto un forte impatto su di me, naturalmente, ma non ne sempre consapevole nel mio passato, anzi cercai di dimenticare. Soltanto dopo che fui ingiustamente imprigionato iniziai a comprendere che quello che avevo vissuto era sorprendentemente simile a quanto vissuto da mio padre. Solo allora sono riuscito a comprendere compiutamente la mia storia, il legame interiore con mio padre e il mio passato che è il mio presente. Questa consapevolezza è oggi molto forte e mi aiuta a trovare ogni giorno il mio “posto” nel mondo e a procedere con il resto del mio viaggio.
SMF. Molti studiosi la vedono come un attivista e una sorta di artista di protesta, ma cosa significa protestare ed essere liberi oggi?
AWW. Non mi piacciono le etichette, che rappresentano forse più chi le attribuisce. Ciò che intendiamo oggi con la parola libertà nella maggior parte delle circostanze sono sciocchezze, voci vuote e senza senso. Il vero tipo di libertà consiste nel dare, condividere e assumersi responsabilità. Questo tipo di libertà è molto raro nella nostra società di oggi.
SMF. Il dare incondizionatamente e la parola amare sembrano essere protagonisti anche dei suoi ultimi progetti artistici, come la regia della Turandot. Sbaglio?
AWW. Amare è un concetto così vasto da comprendere l’utopia e la rovina. Nelle mie opere considero l’amore come il mistero fondante della vita stessa. È un attributo dell’essere umano in quanto animale. L’essere umano non può che tentare per tutta la sua esistenza di svelare il mistero di cosa significhi amare, consapevole che una risposta non c’è. L’amore, perciò, non è la svolta, è il tutto.
SMF. Lei è l’emblema dell’eclettismo contemporaneo. Un’alchimia di arte, design e architettura. Che cosa è quindi arte per Ai Weiwei?
AWW. Gli esseri umani vivono per un arco di tempo molto limitato. Il nostro destino e le nostre esperienze sono per lo più imprevedibili, manipolate da una mano invisibile. Possiamo intendere le esperienze che viviamo come un bastone di legno o una pietra raccolti per strada. Questi bastoni e queste pietre sono così importanti che il bambino pastore non può che indugiare nell’atto di coglierli. Tutto ciò che faccio (ndr artista, architetto, designer) si fonde nell’articolata relazione che ho con il mondo e che in fondo è la mia stessa narrativa nell’arte. La “mia narrazione nell’arte” è l’attributo principale di Ai Weiwei essendo l’Ai Weiwei che la gente vede in superficie. È solo attraverso la mia narrazione nell’arte che la gente mi vede. Indipendentemente dal fatto che qualcuno mi chiami “artista” o “attivista”, questa narrazione è solo una piccola parte di ciò che di me può essere visto. Ma c’è molto altro. Una parte ancora più grande che non si vede è che io sono una persona molto curiosa: ho bisogno di conoscenza e sono mosso da un continuo tentativo di comprendere i miei sentimenti e le mie esperienze della vita. Questa è una parte molto difficile che non posso mai del tutto soddisfare. Posso solo tentare di non lasciare che le mie esperienze di vita si disperdano come sabbia.
Breve biografia di Ai Weiwei
Ai Weiwei è nato a Pechino nel 1957. Il padre, il noto poeta Ai Qi, per le sue posizioni fu mandato al confino insieme alla famiglia nella campagna cinese. Dopo esser rientrato a Pechino per studiare animazione, ha vissuto dal 1981 al 1993 negli Stati Uniti dove ha sperimentato attraverso la fotografia. Al ritorno in Cina ha vissuto un periodo di grande fortuna artistica che si è allargata anche all’architettura e al design grazie all’apertura dello studio FAKE Design . Noto per le sue grandi installazioni e performance a tratti dissacranti, è considerato uno tra gli artisti più significativi nel panorama internazionale.
©Villegiardini. Riproduzione riservata
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