Ad Artissima abbiamo incontrato e intervistato la grande collezionista Umberta Gnutti Beretta, che ha da poco deciso di condividere temporaneamente la sua raccolta artistica all’interno delle aziende di famiglia, creando uno spazio dedicati nell’azienda di famiglia Almag SpA e sognando un’espansione all’interno dell’azienda del marito.
Umberta Gnutti Beretta è una vera globetrotter della moda e dell’arte, con un’agenda e una vita scandite dagli appuntamenti e dalle dinamiche di questo mondo. La sua passione si è evoluta fino a diventare una vera e propria ragione di vita. Al grande pubblico è nota per aver reso possibile l’ultima e grandiosa installazione di Christo sul Lago d’ISEO nel 2016. Originaria di Brescia, Umberta è cresciuta in una famiglia di imprenditori nel settore dell’ottone (Holding Umberto Gnutti e Almag SpA), prima di incontrare e sposare Franco Gussalli Beretta. Dal 2023 ha trasferito numerose sue opere all’interno dell’azienda del padre, creando lo Spazio Almag.
Fin dall’infanzia, ha respirato un ambiente ricco di cultura e sensibilità artistica grazie al padre Giorgio Gnutti, appassionato d’arte e in particolare di scultura. Questa influenza l’ha portata a iniziare la sua personale raccolta d’arte nel 1986, che si è sviluppata in una collezione variegata – oltre 200 opere – con una forte predilezione per la figurazione e la fotografia, a discapito della scultura, verso cui mantiene un approccio più selettivo e mirato. Nel corso degli anni, la collezione si è arricchita di un numero crescente di opere di artiste donne, tra cui nomi di fama internazionale come Marina Abramović e Paola Pivi, accanto a lavori anche acerbi di autrici emergenti. Umberta ama definire la sua collezione come una “raccolta” nata da incontri, passione e uno studio che negli anni è diventato sempre più approfondito. Il risultato è così un corpus estremamente eterogeneo per tecnica, valore e qualità, che riflette appieno lo spirito eclettico della collezionista.
Portraits and Firearms
Forse proprio per questo, da oltre dieci anni Umberta Gnutti Beretta ha deciso di creare una “collezione nella collezione”, più rigorosa nella selezione delle opere: nasce così “Portraits and Firearms”, un nucleo di opere pensato per il figlio Carlo, oggi ventisettenne. L’obiettivo dichiarato è quello di lasciargli un insieme di opere che lui stesso guiderà.
La collezione entra in azienda
Proprio il desiderio di integrare l’arte nelle aziende di famiglia è stato il punto di partenza della nostra intervista, con cui abbiamo approfondito un caso in cui un collezionista-imprenditore condivide la propria passione con i dipendenti e la comunità in maniera temporanea, senza privarsi delle opere. Oggi, infatti, l’80% della collezione è stato trasferito dalle abitazioni all’azienda di famiglia, guidata dal fratello Gabriele Gnutti, nello Spazio Almag aperto al pubblico su appuntamento.
La particolarità di questo nuovo spazio, aperto dal 2023, risiede nel fatto che non si tratta di opere che “invadono” l’azienda, ma di un vero e proprio “luogo per l’arte” racchiuso al suo interno. Spazio Almag è accessibile ai dipendenti e ai visitatori esterni, ma rimane separato dall’ambiente lavorativo, non solo per rispetto, ma perché, come sostiene Umberta Gnutti Beretta, l’arte è una storia che deve essere raccontata.
L’intervista
SMF (Sabino Maria Frassà): Come e perché ha iniziato a collezionare?
UGB (Umberta Gnutti Beretta): Sin da quando ero bambina mio padre mi portava a tutte le mostre d’arte, per lo più antica, di cui era appassionato. Amava anche la scultura e mi fece conoscere così molti artisti. A 18 anni vidi su una rivista un quadro di un allora giovane pittore, Velasco Vitali, che raffigurava un ghiacciaio, e me ne innamorai. La cosa curiosa è che mio padre me lo comprò e poi si appassionò a sua volta, acquistando altre tele dello stesso artista. Da quel momento non mi sono più fermata, e oggi ho una vasta raccolta.
Nessun Pentimento?
SMF: Come si è evoluto il suo rapporto con le opere che ha acquisito negli anni? Ha mai provato pentimento?
UGB: Mai, le amo tutte e vorrei vederle ogni giorno! Il vero problema è lo spazio: quando ho finito le pareti di casa, mi sono quasi sentita oppressa dalle opere che continuavo ad accumulare, anche perché io non amo gli spazi troppo pieni.
Perché l’arte in azienda?
SMF: È stata questa la ragione che l’ha portata a portare l’arte in azienda?
UGB: È stato un incontro tra opportunità e necessità. Certo, la questione dello spazio era rilevante, evidente e innegabile, ma ci sono altri modi per risolverlo, come hangar o caveau. Tuttavia, io voglio vedere le mie opere sempre: ogni opera ha una storia dietro, la mia storia. Quando l’azienda di famiglia, guidata da mio fratello Gabriele, si è trovata con 1500 metri quadrati inutilizzati, mio padre per primo ebbe l’idea di metterci delle opere d’arte, come aveva sempre fatto portando alcune opere negli uffici. Mi innamorai dell’idea e la feci mia.
Come ha strutturato lo spazio?
UGB: È stata una decisione drastica: ho letteralmente svuotato casa e portato quasi 200 opere in questo spazio, a cui si accede attraversando gli uffici. Ci ho tenuto molto al fatto che fosse però un luogo separato dagli altri spazi aziendali, dedicato all’arte all’interno dell’azienda. I dipendenti e i visitatori possono accedervi liberamente, su appuntamento o una volta al mese. Non ci sono cataloghi o etichette: preferisco insieme al curatore Edoardo Monti raccontare le opere e le storie dietro di esse di persona. Questo non solo piace a me, ma anche al pubblico, perché le persone amano ascoltare le storie e questo è così anche un modo per avvicinarle all’arte.
Perché ha rinunciato alle sue opere?
SMF: Perché questa scelta così radicale di vivere senza opere d’arte?
UGB: Vado a vedere le opere quasi ogni giorno; il legame non si spezza, ma avevo bisogno di una sorta di pulizia visiva. Mio marito, che mi segue sempre nei miei viaggi d’arte, è rimasto quasi traumatizzato e ha subito comprato due sculture per casa. Tuttavia, ho chiarito che non voglio tornare ad accumulare opere in casa: le nuove acquisizioni vanno direttamente in azienda. In casa ho tenuto solo un’opera site-specific per le vetrate.
E quando lo spazio finisce?
SMF: Ogni spazio però ha i suoi limiti: come farà quando anche l’azienda sarà piena delle sue nuove opere?
UGB: Come dicevo, non voglio occupare altri spazi aziendali; voglio uno spazio dedicato all’arte. Quindi, dovrò accettare di far ruotare le opere. Saranno nuovi racconti, e poi mi piace mescolare opere di artisti affermati con quelle di artisti emergenti. La mia raccolta è viva e si alimenta in continuazione anche di contaminazione interne.
Istinto o intuito?
SMF: Lei acquista principalmente opere di artisti viventi che conosce di persona. Predomina più l’istinto, l’intuito o lo studio?
UGB: Sono una persona istintiva che ha imparato a studiare, ed è il consiglio che do sempre a mio figlio Carlo, che, cresciuto in mezzo all’arte, sta sviluppando un crescente interesse per il collezionismo. Con i giovani artisti, l’istinto e l’intuito prevalgono, perché ci sono poche informazioni di base. Con artisti storicizzati, invece, studio attentamente prima di acquistare, mi confronto con gallerie ed esperti, poi incontro l’artista e lo acquisto anche se non mi è particolarmente simpatico. Conoscere chi ha creato un’opera è un piacere e un’opportunità unica che offre l’arte contemporanea, ma non è la mia bussola.
Mai venduto una sua opera?
SMF: L’arte dei giovani: ha detto di non essersi mai pentita. Questo significa che non ha mai venduto opere? E in futuro?
UGB: No, ho venduto solo una volta, quando si è presentata l’opportunità di cedere un’opera e usare la plusvalenza eccezionale per acquistare molte altre opere. Mi affascina l’arte dei giovani perché è una scommessa e mi fa piacere quando artisti della mia raccolta crescono e diventano famosi. Ma non venderei mai le loro opere: è una soddisfazione personale il fatto di averci visto giusto. Inoltre, mi piace l’idea che acquistare l’opera di un giovane significhi sostenerne il futuro, a prescindere che possa poi crescere, continuare o addirittura smettere di fare l’artista.
Artiste donne?
SMF: In azienda sono esposte diverse opere di artiste donne: è un nuovo filone della sua collezione?
UGB: È vero che negli ultimi anni ho acquistato molta pittura di giovani donne, ma è altrettanto vero che è sia una sorta di “moda” sia il risultato del fatto che finalmente ci sono più donne che si dedicano all’arte e hanno la possibilità di farlo. Tuttavia, a parte la mia predilezione per la figurazione, non faccio distinzioni di genere: ciò che mi interessa è l’opera in sé.
E la fotografia?
SMF: In mostra c’è anche molta fotografia, che non ha voluto “mescolare” con la pittura. Cosa le piace della fotografia?
UGB: Mi piace l’idea della storia che c’è dietro, per questo amo particolarmente opere che documentano performance o ritratti “pensati” e “studiati” di persone. Non mi interessa il reportage, non lo colleziono.
La proprietà delle opere di chi è?
SMF: Le sue opere in azienda rimangono di sua proprietà e non hanno finalità museali, come dimostra la scelta di non pubblicare un catalogo e di non inserire nemmeno targhe esplicative delle singole opere. Come vede il futuro della sua “arte in azienda”?
UGB: È stato un grande sforzo allestire e concepire questo spazio e progetto. Immagino che per una decina d’anni la raccolta resterà in azienda. Poi, vedremo: non penso che il mio corpus di opere debba necessariamente rimanere intatto per sempre. Sono io a non voler vendere i quadri e le fotografie che ho acquistato, ma se un giorno mio figlio decidesse di fare spazio o di percorrere altre strade, sarebbe giusto e naturale che potesse vendere le opere.
Nel frattempo, suo figlio ha salvato qualche opera dallo “svuotamento” di casa?
Sì, negli anni si è “appropriato” di quattro o cinque opere, che ora sono sue.
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